Il dolore e la speranza

Sono stato ad Ascoli e nelle Marche venti giorni fa. Ho apprezzato, per l’ennesima volta, l’ospitalità, la fierezza e la genuinità del popolo marchigiano. Ma la cosa che più mi ha colpito è stato il grande senso di appartenenza civica di questa gente. Traspare dal modo in cui parlano dei loro luoghi, della loro Storia, dei loro costumi. Emerge nei dialoghi tra concittadini, colleghi, vicini di casa. Si manifesta negli eventi di richiamo collettivo, come la famosa “Quintana”, cui ho avuto il piacere di assistere: una manifestazione che mette in moto un’intera città, orgogliosa delle sue antiche origini, e il cui significato profondo va ben oltre la rivalità tra i quartieri – anzi, tra i “Sestieri” – nella giostra che si disputa allo “Squarcia”. È qualcosa di cui avevo una certa conoscenza, sì, ma superficiale e da cartolina, prima di intraprendere l’avventura calciotavolistica. È stato il subbuteo, infatti, a farmi conoscere San Benedetto del Tronto, Ascoli e i marchigiani. Un altro piccolo, e grande, regalo di questo gioco.

Pala dolore
Le bare nel Palazzetto di Ascoli

Quando, mercoledì mattina, sono arrivate le prime, tragiche notizie, il pensiero è andato subito agli amici di Ascoli. Sono stati loro, anzi, a comunicarci la cosa in chat: “dramma terremoto”, “trema tutto”, “ci sono morti”. E noi lì a trepidare, a chiedere sulla loro salute, ad esprimere vicinanza e cordoglio. Abbiamo continuato così, anche nei giorni successivi. E, ancora una volta, la costante è stata sempre quel senso di appartenenza alla comunità, quel soffrire per il dolore non del parente o dell’amico ma di persone sconosciute di cui, però, si avverte, profonda, una fratellanza che va oltre i legami di sangue e si radica nel Dna di un popolo. Il momento più alto, in questo senso, lo si è raggiunto quando Giuseppe Silvestri ha postato la foto del Palazzetto di Ascoli in cui erano state messe le bare delle vittime della provincia ascolana e in cui si sono svolti ieri i funerali alla presenza delle autorità. Lo stesso palazzetto utilizzato per anni dal club bianconero per organizzare il “Memorial Costantino Rozzi”, la principale manifestazione subbuteistica della città. Quell’immagine e le parole usate da Giuseppe per raccontarcela resteranno scolpite nella mia memoria. E fungeranno anche da monito. Una bara che prende il posto di un tavolo da subbuteo, infatti, ci ricorda la caducità delle nostre effimere ‘passioni’ e, forse, anche il nostro essere spesso persone ‘in miniatura’, come gli omini che adoperiamo per giocare.

Dall’immensità di un tale dolore, però, nasce anche una speranza. Anzi, una certezza. Quella che questo popolo, così come quello di Amatrice, del reatino e delle altre aree colpite dal sisma, ha in sé la forza di risorgere più forte di prima. E ce l’ha proprio nella sua straordinaria capacità di fare gruppo e di esprimere solidarietà sociale. Queste doti emergeranno ancora una volta; e ancora una volta ci daranno il loro prezioso insegnamento.

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